Qualche giorno ho avuto l’onore di tenere una lezione al corso che l’ordine dei giornalisti della Lombardia organizza per preparare i praticanti all’esame di Stato che li farà diventare giornalisti professionisti. Il mio compito era parlare di “Internet” e di “blog”, ma più in generale parlare di innovazione. L’invito da parte dell’ordine è stato graditissimo ed è importante dire che per la prima volta viene inserita un’ora dedicata al “digitale” nel programma di preparazione viene inserita; onore al merito, quindi.
Parlare di innovazione in questa professione oggi è complicato: entrando nella sala ho notato decine di Olivetti Lettera 32 e mi sono improvvisamente ricordato che ancora oggi i futuri giornalisti sostengono una prova d’esame con una macchina per scrivere meccanica. Basterebbe questo per dire in quale stato drammatico sia l’informazione in Italia. Certo, per fare buon giornalismo e buona informazione bastano un tovagliolo di carta e una matita, ma purtroppo quell’ottima informazione su quel genere di mezzo non sarebbe in grado oggi di raggiungere proprio nessuno. E se non raggiunge nessuno, per definizione, non esiste.
Il problema sono solo i giornalisti? Certo che no. Ma se questi attori importanti – forse fondamentali – del mondo informativo vivono in una sorta di preistoria tecnologica il problema è di tutti. Siamo nella società dell’informazione? La Rete è il paradiso di chi fa un mestiere legato all’informazione? Allora quel problema dei giornalisti è un problema della società. Ma non è solo l’esame (e quei poveretti che proveranno a riportare all’esame i miei commenti sull’inutilità dell’occhiello saranno certamente bocciati…) il problema. Prendiamo il contratto giornalistico, quello che è scaduto da un paio d’anni e che non viene rinnovato. La discussione tra editori e sindacato ha riguardato una serie di aspetti, economici e normativi, ma è stata lontana dal vero tema: quel contratto è da buttare e da riscrivere da zero. Tenendo le cose buone (ovviamente anche dal punto di vista della tutela sindacale, delle garanzie, dei diritti, della flessibilità) e buttando tutto il resto. Nel contratto che regola il lavoro dei giornalisti oggi, in questo momento, i computer sono “VDT – oppure i p.c. redazionali collegati o meno al sistema” (il “sistema” non è la Rete, ovviamente, è il sistema editoriale interno).
Il contratto – e i giornalisti italiani, però, hanno un problema più grande, che si chiama organizzazione del lavoro e ruoli. Il contratto giornalistico disegna un’organizzazione rettangolare, gerarchica e chiusa. Rettangolare nel senso che può essere rappresentata con una serie di rettangoli all’interno del quale è scritta una definizione; un rettangolo sopra l’altro si parte del praticante per arrivare al direttore responsabile, passando per redattore, caposervizio e caporedattore (esistono simpatiche sfumature come i “vice” che non cambiano la sostanza). Questo modello non esiste in Rete e quindi non può funzionare. In Rete ci sono i cerchi, e le strutture sono aperte.
I cerchi sono i nuovi modelli che vedono e prevedono maggiore coinvolgimento dei lettori e degli inserzionisti, che non sono più passivi come una volta, ma sono attivi e si muovono nel panorama dell’informazione con autonomie sempre più marcate. È vero che il mito degli user generated content va sfatato, che ci vorranno decenni (la crescita dei ragazzi di oggi) per avere modelli partecipativi davvero sviluppati, però è altrettanto vero che ci sono settori nei quali già oggi gli utenti sono protagonisti. Penso ai viaggi: adesso che c’è Tripadvisor con più di dieci milioni di recensioni di alberghi, il giornalista che si occupa di quel settore deve imparare a fare un altro mestiere. Oramai fa parte di un meccanismo informativo che non è più – di nuovo – gerarchico, chiuso e rettangolare (lui che scrive e qualcuno che legge), ma è aperto e circolare: c’è lui che scrive (o filtra, sceglie, guida) e c’è il lettore che scrive a sua volta (visto che, tra l’altro, è più probabile sia stato davvero nel posto del quale sta scrivendo) e fotografa e commenta; e c’è anche l’inserzionista, che propone, stimola, offre.
Allora se la Rete è sempre più circolare, almeno partendo da alcune aree (ma i viaggi sono solo un esempio, ce ne sono decine di altri), come può l’informazione sulla Rete funzionare con modelli rettangolari?